Alceo nasce intorno al 620 a.C. da famiglia aristocratica di Mitilene, coinvolta in continui sconvolgimenti politici che hanno portato ad un regime assoluto la città che è sì, il centro culturale e amministrativo più importante di Lesbo, ma proprio per questi sconvolgimenti, ne diviene anche il più inquieto e turbolento. L’isola di Lesbo è anche uno dei centri più interessanti per la musica e la poesia poiché è da lì che viene diffusa in tutta la Grecia l’arte del cantore, che si accompagna alla lira, alla cetra ed al barbiton. Ma a Lesbo nasce soprattutto una nuova espressione di lirismo, di carattere non più corale ed epico, ma individuale: nell’isola la lira a sette corde interpreta, esprime ed accompagna i sentimenti del poeta, anche quelli più intimi, la contemplazione del Bello e dell’Armonia si fa canto, come pure si interiorizzano e si manifestano le immagini della Natura e lo stretto legame esistente tra l’anima e il mistero del cosmo. L’individualismo della lirica dei poeti di Lesbo, ed in particolare di Alceo e Saffo, farà da ponte con gli autori futuri e, anche a distanza di secoli e secoli, inizierà un dialogo con la poesia di ogni tempo fino alla nostra generazione, attraversando la letteratura latina. Allunghiamo la mano e tocchiamo quella di Saffo e Alceo. Le allegorie, le immagini e i temi nati da questa poesia saranno costantemente ripresi, reinterpretati e adattati nei secoli a venire.
Ora immaginiamo di essere nel VI sec a.C. e di fare, sebbene lontanissimi nel tempo, una passeggiata a Mitilene e osservarne la vita quotidiana. Le differenti eterìe, associazioni di giovani uomini aristocratici, uniti dagli stessi ideali, non fanno altro che scontrarsi per emergere, perciò non si può dire che la vita sia molto tranquilla da queste parti, anzi, non lo è per niente e le guerre civili durano da anni. Però qui il mare dell’Egeo, tutt’intorno a noi, è di un blu profondo, la costa anatolica è a poca distanza, l’isola ha la sua indipendenza e le sue coltivazioni di viti producono un ottimo vino. Per quegli strani appuntamenti che ogni tanto si diverte a dare il destino, proprio a Lesbo, come sappiamo, sono nati, nello stesso identico periodo, due tra i più grandi protagonisti della lirica greca: Saffo ed Alceo. Ed è Alceo che potremmo incontrare, se siamo fortunati, ad un simposio dove, chissà, è possibile che un ricco anfitrione ci abbia invitati. E’ necessario, per conoscere Alceo tornato dal suo lungo, secondo esilio, essere proprio nel simposio perché la sua lirica monodica nasce, si sviluppa e si canta in tali occasioni. E’ nel simposio che ognuno ritrova la propria identità, si riconosce nei valori condivisi con gli altri invitati, tutti dello stesso ceto sociale. In Alceo, il “bere insieme” e soprattutto la bevanda vino, diventano metafora dell’esistenza, venata da malinconia, perché è sempre presente, diremmo meglio incombente, la percezione della caducità della vita umana. Ecco allora il rimedio assoluto: il vino. Solo l’ebbrezza che deriva dal suo consumo può lenire i tetri pensieri di morte, la sofferenza che l’esistere comporta. Nel frammento intitolato Non si vince la morte, l’incipit è chiaro: il vino è al centro, col suo carico di alcol, e il vino è lo specchio dell’uomo, dice Alceo, ognuno ci vede riflessa la propria immagine nel bene e nel male, il vino gli corrisponde: più è forte ed abbondante il vino, più l’uomo gli appartiene.
Nel simposio
Siamo da sempre abituati anche noi a bere vino riuniti intorno ad una tavola, per condividere momenti di serenità e di allegria con altre persone. Abbiamo sedie e un unico tavolo, invece del κλίνη sul quale si allungano gli antichi greci parlando e bevendo ma la funzione del vino non appare tanto diversa nella letteratura greca. Eppure per i greci c’è qualcosa in più: l’elemento culturale ed educativo dei più giovani.
Nel simposio (che segue il banchetto e precede l’eventuale κῶμος) che avviene all’esterno e durante la notte nella totale baldoria, spesso oscena, dei commensali ebbri, esiste infatti una precisa procedura. La sala non deve essere troppo grande perché non garantirebbe la comunicazione e la partecipazione corale. E’ infatti importante che ognuno senta facilmente la voce di tutti gli altri e che ciascun convitato sia ben visibile, per questo motivo spesso i κλίναι sono disposti a ferro di cavallo, in maniera tale che l’attenzione di tutti i convitati converga verso il centro. Prima di dare inizio al simposio, è eletto il simposiarca, figura fondamentale. Ha il compito di misurare la quantità di vino per ogni convitato; stabilire le proporzioni fra acqua e vino nel cratere da cui riempire le coppe. E’ necessario che gli ospiti raggiungano uno stato a metà tra ubriachezza e sobrietà, così da essere allegri e disinvolti ma lucidi a sufficienza per godere il dialogo, la poesia e i vari intrattenimenti offerti dal padrone di casa. Tra tutte queste attività il simposio può durare parecchie ore e prolungarsi fino a tardi.
L’apertura del simposio è sancita da un sorso a testa di vino non annacquato, dall’offerta fatta versando un po’ di vino a terra, in onore del “Buon Demone” cioè di quella figura a metà strada tra la divinità e l’uomo che si pone come intermediaria, per garantire la cordialità durante la riunione. Tutti intonano allora un canto in onore di Apollo o Artemide con l’accompagnamento della musica di un flautista.
Viene poi portata acqua per lavarsi le mani in un bacile, oltre a profumi, unguenti, corone di fiori, mirto, foglie di edera (sacra a Dioniso, che è la divinità più importanti in tema di vino e festeggiamenti) e di alloro (sacro ad Apollo, dio della musica e dell’intelletto), per ornare il collo e la testa dei commensali. I domestici sono affaccendati a portare i crateri, dai quali attingere il vino. Con il simposiarca che sovraintende, i partecipanti propongono a turno un argomento e questo è il momento educativo, essenziale, di discussione e di filosofia, il simposio diviene l’arena di un vivace confronto intellettuale dove non mancano effusioni di amori omosessuali. In molti dialoghi di Platone sono presenti queste scene e proprio il Simposio è forse il più conosciuto tra i dialoghi del filosofo. Il vino è protagonista imprescindibile, trabocca dai crateri, allungato di solito con una parte di acqua o con ghiaccio, il vino scintilla, incanta, inebria, diviene parte attiva, l’atmosfera della sala si riscalda e fa dimenticare agli uomini gli affanni quotidiani. Sempre il vino ha la capacità di riscaldare d’inverno, rinfrescare d’estate, col vino si brinda nelle occasioni memorabili, col vino si raggiunge l’ebbrezza nella quale dapprima si è arguti e vivaci, poi ci si smarrisce. Essendo nel mondo greco il vino associato al percorso culturale, si cerca di evitare, almeno a parole, l’abuso, che porta alla perdita del controllo ed è per questo che si vieta alle donne di bere perché non escano da loro stesse e siano sempre sotto il controllo maschile.
Questo, in linea molto generale, il panorama della vita in cui si muove Alceo. Non abbiamo molti particolari su di lui ma siamo sicuri di riconoscerlo immediatamente, dagli argomenti che tratterà, dal tono malinconico o sferzante del suo canto inneggiante alla libertà, al coraggio virile, al bere, alla sopportazione stoica. Anche dalla metrica che caratterizza i suoi versi eolici, molto varia, e anche da quella di sua invenzione come il verso alcaico. Un uomo tutto d’un pezzo, Alceo, incorruttibile, tenace, combattente e sempre maledettamente perdente. La sua è la voce dello sconfitto, al quale capita anche di rallegrarsi un momento per la morte del tiranno ma poi, i due esili e il ritorno in patria da vecchio lo segnano. Col rimpianto e l’amarezza per aver dovuto vivere tanti anni lontano dai luoghi cari ed essere stato tradito da Pittaco che pure aveva combattuto dalla sua parte; Alceo ha sofferto per la patria, per il tradimento, per le sconfitte. Il “tiranno” è la figura negativa che ritroviamo costantemente nella sua poesia, anche se il termine non possiede ancora la connotazione che lo caratterizza oggi, al tempo di Alceo è usato in senso più ampio.
Giriamo nella πόλις e osserviamo che il principio dell’uguaglianza tra cittadini che sconsiglia l’ostentazione della ricchezza privata, non è rispettato, molte case sono davvero più grandi e più belle, anche se è evidente l’applicazione dell’altro principio che vuole gli edifici pubblici più ricchi e maestosi di quelli privati. Le case dei ricchi non si limitano ad avere un paio di vani ma sono ampie, su due piani e si sviluppano intorno al cortile rettangolare, sul quale si affacciano quasi tutte le stanze, la più importante delle quali è l’“ἀνδρών, la stanza degli uomini. Non notiamo balconi sporgenti. I muri sono leggeri fatti di pietre o mattoni crudi, le pareti interne sono intonacate e dipinte, a volte ricoperte da arazzi.
La Lirica
Siamo arrivati alla casa dove ci dicono si svolgerà il simposio, ma è impossibile entrarvi, ci sono donne tra noi, le regole non si infrangono. Ci accontentiamo perciò di rimanere nelle cucine, confondendoci tra i domestici che, indaffaratissimi, vanno avanti e indietro per servire gli ospiti e non fanno troppo caso a noi, prima o poi Alceo canterà e ripeterà i suoi famosi versi, quelli che, in forma di frammenti, arrivatici in modo diretto o indiretto, conosciamo. Pur ufficialmente esclusi, ci sentiamo emozionati e partecipi del rito.
Eccolo, Alceo! E’ alto e magro, ha capelli bianchi e ricci e la barba lunga, fissa lo sguardo lontano, ha l’aria stanca, sofferente ma intona i suoi versi con l’energia di sempre:
“Ora bisogna ubriacarsi e che ognuno
beva a forza, poiché Mirsilo è morto.”
Ah, sì, Orazio è da qui che riprende il suo “Nunc est bibendum” in occasione della morte di Cleopatra, grave pericolo per Roma, ma i versi di Alceo appaiono più sintetici ed incisivi
“È d’un ramo bastardo, Pittaco.
E l’hanno fatto tiranno d’uno Stato maledetto e senza nerbo.
Per acclamazione»
L’ invettiva ora è contro Pittaco che, a sua volta, ha conquistato il potere e mandato Alceo per ben dieci anni in esilio in Egitto. Ma lo sdegno è anche contro la città che non ricorda e non reagisce, arrivando perfino ad applaudire e lodare il traditore.
“Giove piove, e gran tempesta
È nel ciel, crescono i fiumi:
La stagion vinci molesta;
Entro il foco si consumi
Molto legno e dolcemente
Vin si beva largamente.”
“Gònfiati di vino: già l’astro
che segna l’estate dal giro
celeste ritorna,
tutto è arso di sete,
e l’aria fumiga per la calura.
Acuta tra le foglie degli alberi
la dolce cicala di sotto le ali
fitto vibra il suo canto, quando
il sole a picco sgretola la terra.
Solo il cardo è in fiore:
le femmine hanno avido il sesso,
i maschi poco vigore, ora che Sirio
il capo dissecca e le ginocchia”.
(traduzione di Salvatore Quasimodo)
“Albero non piantar pria della vite”.
“ Mai si deve a dolor l’animo
Lasciare in preda, perché nessun utile
Dà il duolo; se il vino si reca,
È l’ebbrezza il rimedio migliore”.
“Quando vien la primavera
Con la pompa sua fiorita,
Il piacere a sè m’invita;
Dolce vin mescete a me”.
“ E’ specchio il vino agli uomini.
Vino, o fanciullo caro, e verità”.
“Salve, e bevi,
E con noi bevi”.
“Beviamo: perché aspettiamo le lucerne? Un dito è il giorno;
ragazzo mio, tira giù grandi coppe decorate:
il vino, infatti, il figlio di Semele e Zeus, oblio dei mali,
donò agli uomini. Mesci mescolando una misura d’acqua e due di vino,
colme fino all’orlo, e l’una l’altra coppa scacci”.
Già, a che vale aspettare che vengano accese le lampade per bere? La vita è così breve che fugge via e il vino è il solo rimedio per i mali, dono divino che attraverso l’oblio fa dimenticare l’angoscia.
“Esiste una medicina, la migliore: portiamo qui il vino e inebriamoci”.
“Non bisogna abbandonare l’animo ai mali,
non traiamo infatti nessun giovamento tormentandoci,
o Bicchide,
ma il miglior rimedio è che fattici portare del vino
ci ubriachiamo”.
Alceo viene definito da Ateneo, sofista e grammatico greco del 2° secolo d.C, φιλοπόςοι, amante del bere, e nella sua opera Ateneo ha riportato alcuni versi di Alceo che sarebbero andati perduti.
E’ vero che le cronache non riportano se Alceo sia stato trovato privo di conoscenza, col fegato a pezzi o magari in coma etilico, si limitano a dire, e questo non fatichiamo a crederlo, che pare abbia scritto molti dei suoi versi in stato di ubriachezza. Di lui non sappiamo nemmeno l’anno della morte e quanto sia stata lunga davvero la sua vita. Sappiamo dai tanti suoi versi che potremmo racchiudere il suo pensiero nella summa che bere vino sia l’unico rimedio ai tanti mali dell’uomo. E’ anche giusto, però, sottolineare due aspetti: di Alceo ci sono arrivati pochissimi versi dedicati all’amore che pure è un tema che ha sicuramente trattato e che ha vissuto pienamente la vita politica con impegno appassionato e coraggio nelle guerre, con un grande senso dell’amicizia e dell’onestà intellettuale e anche, come era normale a quei tempi, con disprezzo e odio per il nemico. La sua capacità di creare allegorie e metafore resta un esempio sempre attuale, una sorta di immaginario collettivo al quale ritornare, un modello al quale attingere. Per non ridurre Alceo al solo vino, riportiamo l’allegoria della nave nera in tempesta, allegoria che nel tempo diviene τόπος letterario particolarmente efficace, qui simbolo della πόλις senza guida, alla mercé dei venti, scossa dalle guerre civili e successivamente con significati riadattati i versi di Orazio ed infine di Dante nel canto VI dell’Inferno:
Non comprendo la lotta dei venti,
infatti un’onda si abbatte di qua
e un’altra di là, e noi nel mezzo
siamo trasportati con la nave nera
stremati dalla grande tempesta;
e l’acqua della stiva supera la base dell’albero,
e la vela è ormai tutta strappata,
e giù ne pendono grandi brandelli,
e si allentano le àncore.
O nave, ti riporteranno in mare nuovi
flutti. O che fai? Con forza resta
nel porto. Forse non vedi come
il fianco sia nudo di remi
e l’albero maestro ferito per l’Africo violento
e le antenne gemano e senza funi
a stento le carene possano
sopportare un mare
troppo tempestoso? Non hai vele intatte…
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!
E’ tardi, molto tardi ,Alceo ha smesso di cantare, ci ha commosso, emozionato, ce ne andiamo via nella notte stellata di Lesbo ma non lo dimenticheremo, resterà nei nostri cuori, un uomo che ha combattuto, cercato la sua strada, difeso ideali a lui cari, illudendosi che il vino potesse davvero essere oblio, salvezza, conforto per la dolorosa sconfitta la cui eco è rimasta registrata per sempre nella sua lirica.

