Risposte difficili – Caratteristiche comuni
Che l’alcol accompagni ed abbia accompagnato molti artisti e molti scrittori è un fatto noto, forse anche in numero più elevato di quello che possiamo immaginare, ma è difficile rispondere ad alcune domande che inevitabilmente siamo portati a farci affrontando questi temi complessi. Statisticamente, il numero di alcolisti è superiore tra gli scrittori rispetto alla gente comune? Se sì, perché? Che sarebbe stato di questi scrittori di successo se, come per magia, avessimo potuto togliere loro l’alcol? Avremmo visto questi uomini e queste donne risanati nell’anima, rinvigoriti nel fisico e nella volontà e quindi meno fragili ma ugualmente creativi o avremmo visto uomini e donne più sereni, più a loro agio nel mondo, più longevi senza più le loro caratteristiche, la loro creatività, la loro arte, la loro sensibilità? O li avremmo visti scivolare verso altre dipendenze che spesso, del resto, pure ci sono? Dobbiamo attribuire all’alcol, pur di fronte ad una situazione gravemente compromessa, doti positive di stimolo, di arricchimento, di ampliamento delle qualità senza le quali sarebbero state persone prive di rilevanza artistica? A queste domande è più che difficile rispondere, ci dovremmo anche chiedere perché certi artisti siano stati grandi senza avere dipendenze. E andando a studiarne la vita privata e scendendo nell’intimo di chi è stato alcolista, troveremmo sempre risposte soddisfacenti che ci chiariscano il perché, il per come, il quando, il se, o diventeremmo vittime di noi stessi e della nostra presunzione? Ammesso che sia vero che l’alcol dilati l’immaginazione, è altrettanto vero che intrappola la sua vittima in un giro vizioso d’ansia e fobie, che inevitabilmente fa aumentare la dose per placarle e la vittima finisce col sedersi su quell’altalena che dondola tra creatività e autodistruzione, tra sensazione sempre più debole di potercela fare e allontanamento dalla realtà familiare, dagli amici, dal lavoro e da sé stessi. E tutte le riflessioni, le domande, le osservazioni che possiamo fare finiscono sempre col cozzare contro l’ambiguità della situazione tra momenti alti e quelli di umana miseria. Il reiterato tentativo dello scrittore di trovare rifugio nell’alienazione dell’ebbrezza alcolica, rivela sempre, però, prima o poi, quanto effimero e ingannevole sia quel rifugio, capace di offrire soltanto una breve illusione di libertà ed euforia, portando con sé al risveglio il carico pesante della depressione e dell’amarezza. “Gli alcolisti costruiscono difese come gli olandesi costruiscono dighe”- dice Stephen King, che di alcol e dipendenza se ne intende, e nell’ autobiografia, in cui racconta il suo alcolismo, la sua lotta per uscirne e la sua vittoria, afferma senza mezzi termini: “L’idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle più grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. […] Lo scrittore tossicodipendente è nient’altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. […] Non importa se sei James Jones, John Cheever o un barbone avvinazzato che russa alla Penn Station […]. Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative siano più vulnerabili di altre all’alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada”. Certo che particolarmente vulnerabili gli scrittori americani del ‘900 devono esserlo se, come Lewis Hyde ha notato, su sei premi Nobel per la letteratura, quattro sono di scrittori alcolisti.
“Alcolismo e solitudine solitamente rientrano nel territorio della medicina, della scienza, della psicologia, della sociologia. Perché scegliere la letteratura come strumento d’indagine?” Questa domanda è stata rivolta ad Olivia Laing, scrittrice inglese, autrice del libro “ Viaggio a Echo Spring” (il Saggiatore), dove per “ Echo Spring” si intende l’armadietto del Bourbon di Brick, il personaggio alcolista de “ La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams. La Laing, che nel suo libro compie un’operazione di scavo nella vita di sei grandi scrittori americani del Novecento, tutti alcolisti, spiega che ha scritto il libro per dare risposte soprattutto a se stessa per le dolorose vicende della propria famiglia che le hanno segnato la vita. Ed ha fiducia nell’aiuto che per queste risposte può offrire la letteratura. E così è andata alla ricerca di testimonianze dirette e indirette, si è recata nei luoghi frequentati dagli autori che aveva scelto di analizzare, cercando il perché, la ragione profonda di quel diventare segnati dalla dipendenza. Può essere certa, la Laing, di aver trovato quelle risposte appassionatamente cercate? No, affatto. Saul Bellow afferma: “Esamina bene ciò che è comprensibile e concluderai che soltanto l’incomprensibile ti fornisce qualche luce”. Solo dopo aver esaminato tutto quello che è alla nostra portata, solo alla fine, bisognerà prendere consapevolezza che quello che ci sfugge ci sfugge perché va oltre noi e non si piega facilmente alla logica umana, alla nostra investigazione razionale o sentimentale che sia. La Laing comincia la sua indagine a New York dagli Alcolisti Anonimi ( A.A) dove prima o poi finiscono tutti per passare e mette insieme la sua grande fiducia nelle possibilità della letteratura con le conoscenze scientifiche sull’alcolismo ma può solo scoprire i tratti comuni dei vari autori, le caratteristiche prevalenti ma non rispondere alla domanda “ Perché bevono?” e nemmeno all’altra, che è il suo rovescio, e che si poneva spesso Jerzy Pilch, altro alcolista di tutto rispetto, “Perché la maggior parte della gente non diventa dipendente dall’alcol?”
Quello che possiamo fare è offrire un punto di vista diverso, rispetto agli studi medici, un’angolazione che non prescinda dalle abilità nella scrittura e dagli eventi delle varie biografie, con il rispetto umano dovuto a tutti. E davvero sono molti i tratti comuni che osserviamo negli scrittori dipendenti dall’alcol: famiglie infelici, famiglie geneticamente predisposte all’alcolismo, abbandoni, madri oppressive o assenti, disgrazie che segnano la vita per sempre, una sessualità non ben definita o, meglio, oscillante tra omosessualità e bisessualità, insonnia, instabilità, profonda solitudine, vita breve.
Possiamo aggiungere che si tratta sempre di persone di particolare intelligenza e cultura, che mostrano, sia pure in gradi diversi, una opposizione alla società del tempo, che ritengono importante, sebbene non salvifico per se stessi, il proprio lavoro, che sono appassionati nella loro arte, nei loro ideali, che sono particolarmente sensibili a quanto arrivi dall’esterno e colpisca l’anima, che finiscono con l’essere derelitti tra le macerie della propria esistenza e morire soli. Sono lucidi nella loro ebbrezza, alla fine hanno sempre piena consapevolezza del loro stato, di trovarsi, cioè, in un vicolo cieco, stanno male, a volte malissimo ma si piegano a chiedere aiuto solo quando è troppo tardi e l’alcol ha distrutto il fisico e reso la loro personalità del tutto instabile. Prima no, prima è come se ti dicessero “ Non chiedermi mai di smettere di bere, mai”
E chiudiamo con una poesia di Edgar Allan Poe, scrittore e poeta tormentato e alcolista, scritta nel 1829 a venti anni, subito dopo la morte della madre adottiva, con piena, lucida consapevolezza della propria diversa sensibilità, che esclude ogni possibilità, nel bene e nel male, di uniformarsi al mondo. ( Traduzione di chi scrive)
SOLO
Dall’infanzia come gli altri non fui mai,
né vidi mai come gli altri vedevano,
né seppi trarre la mia passione da una fonte comune,
né alla stessa tonalità risvegliare il mio dolore alla gioia
e tutto ciò che ho amato
l’ho amato da solo
e così nell’infanzia, all’alba di una vita in tempesta,
dall’abisso del bene e del male
fu tratto il mistero che ancora mi lega.
Dal torrente o dalla fontana-
Dal pendio rosso del monte-
nel sole che mi rotolava attorno
nel suo autunno dorato
nel lampo del cielo
che veloce mi passava accanto
dal tuono e dalla tempesta
dalla nuvola che (mentre il resto del cielo era blu)
In un demone
si trasformava ai mei occhi.