“Il diario della mia scomparsa” di Hideo Azuma è stato pubblicato in Italia nel 2019. Potremmo considerarla la semplice autobiografia di un fumettista giapponese autore di manga, un genere andato molto di moda da quelle parti, ma non lo è affatto perché questo Diario, in realtà, mettendo da parte le estremizzazioni del Sol Levante, la particolare professione dell’autore, il manga e le sue regole, nel più profondo dei suoi significati, appare una parabola discendente che può essere compiuta da un qualsiasi uomo sulla terra, un girone infernale nel quale chiunque potrebbe precipitare, una vicenda universale ed emblematica. Infatti, sebbene attraverso quei toni leggeri e ironici che l’autore non abbandona mai, la triste vicenda di Azuma potrebbe anche sintetizzarsi così: “Dal successo all’ansia, dalla depressione all’alcol, alla fuga”.
LA FIGURA DEL MANGAKA IN GIAPPONE
L’autore di manga giapponese viene definito mangaka 漫画家 ed è una professione che sono in molti a sognare. Gli editor giapponesi si comportano come i guardiani del faro, sempre all’erta, e vivono fisicamente accanto all’autore per controllare che stia effettivamente lavorando e che i tempi vengano rispettati. Lo stare perennemente addosso ad un mangaka di successo spesso fa impazzire lo stesso editore perché i ritmi di lavoro sono davvero insostenibili anche per chi si limita a controllare. E ricordiamo l’ingenuità di tanti ragazzi italiani negli anni ’80, del tutto inconsapevoli della fatica che c’è dietro ma affascinati dalla diversità di quei cartoni, nell’inviare migliaia di lettere alle produzioni nipponiche raccontando il loro desiderio di andare a vivere in Giappone per disegnare proprio quei personaggi dai grandi occhi che in televisione apparivano allegri e scintillanti, come fossero il frutto dell’Eden che aspetta solo di essere colto.
La vita dei mangaka è invece durissima. La vittoria in uno dei tanti premi messi in palio dalle case editrici permette ad uno di loro di iniziare la carriera, mentre altri riescono a pubblicare in proprio volumi amatoriali.
All’inizio della carriera i mangaka pubblicano per la loro casa editrice solo brevi storie illustrate, se queste storie sono apprezzate dal pubblico allora inizia il lavoro continuativo con la serie di loro invenzione. Tra i vari mangaka si scatena una terribile rivalità per emergere. E’ il pubblico a decretare il successo dell’uno piuttosto che dell’altro, infatti nelle riviste i lettori trovano una cartolina con la quale assegnare un voto ad ogni manga. Alcuni mangaka sono diventati famosissimi come Osamu Tezuka ed Eiichiro Oda.

HIDEO AZUMA
In Italia il nome di Hideo Azuma non è molto conosciuto ma se si citano due sue creature degli anni ’80: Nanà Supergirl e Pollon allora sono in tanti a ricordare. Pollon è stato uno dei primi grandi successi di Azuma, pubblicato nel 1977 sulla rivista Princess. Si tratta di una dea-bambina, figlia del dio Apollo, che insieme alle altre divinità vive sul monte Olimpo, rappresentato molto simile alla terra; la piccola dea dai grandi occhi e dai capelli d’oro è sempre pronta a combinare guai con il suo fido compagno Eros, il dio dell’amore. Divertirsi a prendere in giro la mitologia greca fa parte dei luoghi comuni dei manga. Dal fumetto nel 1982 è stato tratto anche un cartone animato, trasmesso in Italia per la prima volta nel 1984. Anche Nanà Supergirl, altrimenti nota come Nagako Sos, è diventata molto famosa. Pubblicato in Giappone sui mensili Popcorn e Just Comic nel 1980, il fumetto narra di una ragazza che possiede dei super poteri grazie ad alcuni esperimenti ma che ha perso ogni ricordo di sé stessa, non sa chi sia, né da dove venga, non ricorda nulla della sua vita passata. Dal manga nel 1983 è stato tratto un’altra famosa serie d’animazione, anche questo trasmessa in Italia a partire dal 1984.
QUANDO E’ TROPPO E’ TROPPO
Ma è proprio in Giappone, dove il senso del dovere è estremo, che il sovraccarico di lavoro va al di là di ogni sopportazione fisica e psicologica. E non è un caso, quindi, che nella lingua nipponica esistano due parole particolari, utilizzate in campo medico: karoshi che vuol dire: morte improvvisa per troppo lavoro, e karojisatsu, cioè, suicidio per la stessa causa. In italiano non abbiamo le parole corrispondenti e crediamo non ci siano in nessuna altra lingua.
Nel 1989 il peso che grava sul cuore e sul cervello di Azuma diviene insopportabile e, usando con la moglie la più classica delle scuse “esco per andare a comprare le sigarette”, sparisce. E la fuga sarà ripetuta nel 1992. Sparisce letteralmente, annullando l’uomo che era, divenendo un invisibile, uno che vive nei boschi morendo di freddo, che raccatta i residui di cibo nelle scatolette gettate via, che racimola monetine nelle macchinette automatiche che danno il resto, che per fumare raccoglie da terra mozziconi di sigarette, che si arrangia come può per bere alcol, che non ha programmi, né lavoro, né rimpianti. In questo percorso per la sopravvivenza impara a vivere da autentico clochard, liberato da ogni imposizione. Non però da quella dall’alcol. Nel 1998al matrimonio del fratello arriva completamente ubriaco, rovinando la festa a tutti e questa volta la famiglia lo prende di peso e lo fa ricoverare in un ospedale psichiatrico per la disintossicazione. Quando Hideo uscirà dall’ospedale sarà in sé e in grado di tornare a lavorare ed è così che l’idea che gli andava maturando nella mente da tempo si concretizza: scrivere il Diario della mia scomparsa e lo fa talmente bene che questo libro riceverà vari premi. Ma la vita presenta sempre il suo conto, mettendo in nota tutti gli eccessi, gli viene diagnosticato un cancro all’esofago che lo porterà alla morte a sessantanove anni. Nel Diario della mia scomparsa, un graphic novel pubblicato in Italia nel 2019 Azuma, con le tavole dei fumetti di sempre, racconta in totale libertà, senza preoccuparsi del giudizio del lettore, quella vita vissuta fuori da tutto e da tutti. Lo fa con l’ironia e la leggerezza che gli sono solite e il contrasto tra il contenuto drammatico e i toni del racconto è forse l’elemento più notevole, l’io narrante con i suoi drammi, il tentativo di suicidio, l’estraniamento e l’io narrato con le sue linee morbide, tonde e buffe, gli sfondi indefiniti, trovano quell’equilibrio perfetto che ha portato ad Azuma molti riconoscimenti e premi.
Il Diario è diviso in tre parti, la prima è un vero e proprio manuale di sopravvivenza, nel quale l’autore deve tenere conto del fatto che se ha allontanato i demoni che lo tormentavano dall’esterno, non può dire la stessa cosa del suo demone interiore: l’alcolismo. Nella seconda parte, il protagonista, stanco delle difficoltà dovute ai grandi disagi, della pessima alimentazione e della mancanza di denaro, cerca un lavoro che trova in una ditta che prepara tubi per il gas. Questa parte, sempre attraverso le tavole del manga, è piena di particolari tecnici che Azuma a mano a mano apprende; racconta dei diversi modi di tagliare i tubi, dell’organigramma del lavoro e si allontana dalla vita di barbone. Parla dei motivi che l’hanno spinto a compiere per ben due volte quella scelta drastica, parla del blocco dell’artista, ma anche della paura di essere diventato lui stesso una parodia, costretto a ripetere i medesimi passi, a muovere gli stessi meccanismi, ad usare gli stessi escamotage, a reiterare idee, a sentirsi morto, a piombare nella depressione.
L’ultima parte è dedicata al problema dell’alcolismo ormai fuori controllo, il che significa avere dalla mattina alla sera a che fare col sakè o con la sua mancanza, con le allucinazioni uditive e visive, essere divenuto schiavo di qualcosa di diverso dal lavoro, preda di gravi disturbi d’ansia e di pensieri ossessivi, di morte. Il tono del manga continua ad essere ironico e autoironico, nonostante il racconto del ricovero coatto per disintossicarsi, nell’ospedale, a contatto con gli altri ricoverati.
L’edizione italiana è corredata da un’intervista da lui rilasciata proprio per i lettori italiani, nella quale racconta del periodo in ospedale, del fatto di non avere nessun progetto, di come immagina la sua vita ideale, del fatto che non è mai andato all’estero, di come “Se si riesce a superare la fame e il freddo, la vita da senzatetto è piena di momenti piacevoli, visto che si è completamente liberi, non si hanno obblighi né limitazioni”. E che, quando ha deciso di sparire “è successo gradualmente. Credo che ogni artista, quando si rende conto che sta imitando sé stesso, cada in una depressione senza fondo. Specialmente nei manga comici, se cominci a ripeterti vuol dire che non ce la farai. Al contrario quelli che invece non si preoccupano di essere stereotipati e ripetono sempre lo stesso schema sono forti. Ci sono anche lettori a cui piace molto questo stile. Ma se ti senti spinto a inventare continuamente nuove gag, dopo un po’ cadi a pezzi psicologicamente. Magari stai disegnando una cosa e ti ricordi che l’hai già fatta in un’altra storia, e non riesci più ad andare avanti. La data di consegna si avvicina ma tu non ti senti di fare nulla. Io credo di essere così, se si è troppo coscienti di quello che si fa, si finisce con le spalle al muro. Quindi, essere un operaio è molto meglio per i nervi, anche se entrano in gioco le relazioni umane che sono difficili da affrontare. Ci sono un sacco di brutte persone in giro in questo senso il lavoro del mangaka sembra facile perché ci si può gestire da soli, in realtà non è così. Visto che spesso uno si chiude in sé stesso, piano piano si sente sempre più messo alle strette…Per un periodo ho lavorato e mi sentivo bene. Ma poi ho dato di nuovo i numeri. Ho cominciato ad essere ossessionato da varie cose e ho finito per affogare i miei dispiaceri nell’alcol. Appena mi svegliavo cominciavo a bere, bevevo due tazze di sakè al mattino, tre a pranzo e circa dieci nel pomeriggio. Non riuscivo a mangiare nulla e la mattina dopo ovviamente vomitavo. Tuttavia, continuavo a bere e a sentirmi male. Dopo aver vomitato tre volte potevo ricominciare a trincare. Sì, vomitavo tre volte, questa è una regola d’oro che qualsiasi alcolista conosce.”
Già, chi meglio di te Hideo può raccontare la sua odissea? Che poi è esattamente quello che riassumevamo all’inizio dicendo “dal successo all’ansia, dall’ansia alla depressione, all’alcol” e la fuga non è bastata, hai portato con te, nascosto nell’anima, il tuo nemico peggiore. C’è voluto il ricovero coatto per darti la speranza di qualche anno di vita parzialmente normale